UNA SCUOLA CHE CI COSTA UN PATRIMONIO

Discriminazioni e insolvenze nel nuovo bando del MiBACT

Nei giorni scorsi è stato pubblicato il bando di selezione dei partecipanti al primo ciclo della ‘Scuola del Patrimonio’, ideata su proposta di Tomaso Montanari, all’epoca consulente per il MiBACT guidato da Massimo Bray. Al bilancio dello Stato – capitoli turismo e cultura – è costata, sino ad oggi, più di quindici milioni di euro che, data la sua inoperatività, sono serviti fino ad ora a pagare il gettone di presenza all’unico dei tre componenti del Consiglio di gestione non rinunciatario, compensi e rimborsi spese al Collegio dei Revisori. Ma soprattutto l’appannaggio, pari a 180.000 euro, di Maria Luisa Catoni, già docente all’IMT di Lucca, designata da Dario Franceschini a direttrice dell’istituto il 2 febbraio 2016.

Nelle intenzioni dei proponenti, come ha spiegato Franceschini in una nota sul sito del MiBACT, sarebbe dovuta essere “una scuola di specializzazione con una parte di formazione interna per soprintendenti, direttori dei musei e professionisti della cultura, e una parte internazionale in cui poter offrire nei rapporti bilaterali la possibilità di completare il proprio percorso formativo in Italia ad archeologi, storici dell’arte, restauratori”.

Se ne è parlato tanto, soprattutto perché dopo la riforma Franceschini, che ha creato soprintendenze uniche per il Patrimonio artistico, archeologico e del paesaggio, la figura del Soprintendente non è più quella di un tecnico che guida lo specifico settore di competenza, ma quella di un dirigente pubblico incaricato di dirigere uffici molto complessi e con compiti altrettanto complessi e variegati. Una nuova impostazione che, evidentemente, tiene conto anche della introduzione della dirigenza unica da parte della ministra Madia. Insomma, questa scuola ci era sembrata un buon modo per formare i futuri dirigenti alla tanto sbandierata tutela olistica.

Purtroppo però il bando introduce degli elementi fortemente contraddittori. Se da una parte apre agli studenti provenienti da università estere e sembra giustamente improntata al confronto con l’Europa, dall’altra il MiBACT sembra ignorare la direttiva europea che elimina il limite di età per l’accesso ai concorsi pubblici, esponendo ancora una volta il dicastero a numerosi ricorsi amministrativi. Quindi per il Ministero a 40 anni si è già vecchi! Non conviene a nessuno investire sulla formazione dei quarantenni, tanto meno per farne dei dirigenti e questo viene ribadito ulteriormente nel bando, dove recita: “a parità di punteggio, la preferenza è accordata sulla base di appartenenza al genere meno rappresentato fra gli ammessi e, in caso di ulteriore parità, viene data preferenza al più giovane di età”.

Anche qui si registra un’ulteriore goffaggine fuori dal tempo e dal mondo del MiBACT.

Una norma scolasticamente inserita nel bando per difendere la parità di genere (termine il cui significato è utilizzato a sproposito nel contesto) si dimostra completamente inefficace e controproducente nel MiBACT: grazie alla ricerca Discovering the Archaeologist of Europe – Italia 2012-2014, avevamo già dimostrato che a fronte di una presenza femminile del 70% nella categoria professionale degli archeologi, per i ruoli apicali, Dirigenti MiBACT e Professori di I fascia, l’assegnazione dei posti va sistematicamente agli uomini, nell’ordine rispettivamente del 64 % e del 61 %.

Con la norma contenuta nel bando, dunque, il MiBACT stabilisce che a parità di punteggio tra un uomo e una donna sarà preferibile ammettere alla scuola e avviare alla carriera dirigenziale un uomo invece che una donna!

La scuola prevede due anni di formazione: il primo costituito da lezioni frontali a Roma, per il quale sono previste 12 borse di studio per i fuorisede che debbano trasferirsi nella Capitale, mentre un secondo anno da svolgere come una sorta di tirocinio in una delle Soprintendenze e/o istituti del MiBACT, non retribuito. Curiosa l’interpretazione che il MiBACT dà del concetto delle borse di studio, che sembrano più dei voucher per pagare un affitto ai fuorisede che un sostegno economico per permettere ad una persona meritevole di dedicarsi allo studio senza dover contemporaneamente lavorare.

Un percorso post-post-lauream, perché, in effetti, dopo circa 7-8 anni, minimi, di formazione, il nostro Ministero, unico nel panorama dell’amministrazione pubblica, ritiene che nessuno sia pronto per svolgere funzioni per cui, in altri ministeri, basta la laurea triennale: un infinito percorso di formazione, un infinito limbo di studentato, mai maturi per essere classe dirigente. Si deve interpretare questa scarsa fiducia da parte di una fetta dell’accademia, come una sfiducia nei confronti dei professionisti dei Beni Culturali (evidentemente tutti, nessuno escluso) o come sfiducia nei confronti delle istituzioni preposte a formare? Perché se è vero che da anni (almeno 35) si dibatte sulla necessità di riformare il percorso delle scuole di specializzazione, non capiamo come si pensi che aggiungendo ulteriori due anni ad altri considerati di scarsa qualità, si pensi di ovviare al problema. Non era forse meglio spendere risorse (economiche e di elaborazione) nella riforma del percorso universitario e post lauream? Non è forse questa, la denuncia del fallimento della formazione e dell’assoluta incapacità dell’accademia di autoriformarsi?

 Il bando si dimostra anche profondamente autolesionista, promuovendo una profonda discriminazione nei confronti dei tecnici del MiBACT stesso: si stabilisce che un Soprintendente o un Funzionario non potrà mai dirigere la scuola che dovrebbe formare le persone per fare esattamente quel mestiere e lo stesso limite di età dei 40 anni esclude la grande maggioranza dei Funzionari del Ministero che potrebbero voler accedere ad un ulteriore titolo di studio per poter accedere alla carriera dirigenziale.

Stupisce, infine, la natura assolutamente classista ed elitaria della proposta; classista non solo nei confronti dei professionisti (che devono provenire da famiglie ben più che benestanti per potersi permettere ulteriori 2 anni da studenti), ma anche e soprattutto nei confronti dei fruitori: per poter dirigere i sistemi culturali del Paese, almeno per il nostro eburneo ministero, bisogna essere ricchi, non perdere tempo a lavorare, essere assolutamente autoreferenziali come la classe accademica che ha prodotto questa proposta. Tutti gli altri si accontentino di visitare i monumenti nelle domeniche gratuite o di fare i volontari finché le proprie famiglie se lo possono permettere.

Eppure la stessa maggioranza politica che ha espresso il Ministro Franceschini, durante la stessa legislatura, aveva già provveduto a riformare il sistema di accesso alla PA tramite la Scuola Nazionale di Amministrazione; ci si riferisce al DPR 70/2013, voluto dal Ministro Madia, che ha portato all’unificazione dei diversi enti che somministravano formazione ai pubblici dipendenti, individuando criteri unitari validi per tutte le pubbliche amministrazioni : era troppo chiedere che il MiBACT facesse riferimento a una legge nazionale già esistente?

Seppure a fine legislatura, chiediamo al Ministro Franceschini di intervenire per modificare un bando che viene vissuto più come un affronto dai professionisti che come un’opportunità. Ricordandogli anche l’impegno preso due anni orsono di pubblicare il regolamento per la Legge 110/2014, in ritardo, ormai, di più di tre anni dalla data originariamente prevista dalla legge stessa.

Alessandro Pintucci